Il labetalolo è un farmaco che viene usato nel trattamento dell’ipertensione arteriosa: le donne interessate, però, si domandano se questo medicinale possa essere assunto anche in stato di gravidanza. Occorre sapere che si tratta di un principio attivo che è in grado di superare la barriera placentare: ecco perché è consigliabile usarlo unicamente nel caso in cui i benefici che se ne possono trarre siano maggiori rispetto ai potenziali rischi che ne possono derivare. Al momento non si può dire con certezza che il labetalolo possa essere usato nei primi sei mesi della gravidanza senza che scaturiscano degli effetti collaterali, mentre non ci sono dubbi per l’ultimo trimestre: in questo caso è consentita la somministrazione, sia per via endovenosa che per via orale, per il trattamento delle crisi ipertensive.
Casi di sofferenza neonatale e perinatale sono stati osservati in casi molto rari, sotto forma di ipotermia, di ipoglicemia, di depressione respiratoria, di ipotensione o di bradicardia: tali sintomi in alcune circostanze si sono presentati dopo un paio di giorni dal parto.
Entrando più nel dettaglio, per il primo trimestre della gravidanza non sono disponibili al momento studi epidemiologici specifici in letteratura, ma i dati disponibili in campo umano non hanno messo in evidenza una crescita di anomalie congenite nei neonati rispetto a donne in gravidanza che sono state trattate con beta-bloccanti alle dosi raccomandate. Le segnalazioni di malformazioni sono risultate molto sporadiche e devono essere ritenute aneddotiche, dal momento che non propongono un pattern specifico e non hanno trovato riscontri ulteriori nei successivi studi epidemiologici.
Per quanto concerne il secondo e il terzo trimestre della gravidanza, la terapia cronica con labetalolo (che è un alfa-beta bloccante) è stata associata a una crescita intrauterina del feto rallentata, ma non è chiaro se questa eventualità possa essere associata alla terapia farmacologica o semplicemente alla patologia della madre per la quale il farmaco è stato somministrato. Si è notato che una terapia cronica con labetalolo e beta-bloccanti è in grado di determinare dei problemi di adattamento nel neonato, nel caso in cui le sostanze vengano assunte vicino al parto: ma si tratta di problemi di carattere momentaneo e di lieve entità. Va ricordato, comunque, che il labetalolo si trasmette nel latte materno: non ci sono problemi da questo punto di vista, poiché per l’allattamento durante la terapia non sussistono controindicazioni. Ovviamente i possibili effetti collaterali sul neonato devono essere tenuti sotto controllo e monitorati, specialmente nel caso di ipoglicemia o di bradicardia.